VERONA-JUVENTUS CON L’ORDIGNO
Posted on: 3 Gennaio 2016, by : Riccardo Gambelli
Riparte il Campionato e la Juventus è subito chiamata ad affrontare, nel giorno dedicato alla Befana, l’Hellas Verona. Partita con gli scaligeri, seppur fuori casa, che evoca momenti particolarmente drammatici ma per fortuna, in questo caso senza conseguenze. Così Riccardo Gambelli, direttamente dal suo sito, ci racconta gli accadimenti e come ha vissuto quel giorno .
Durante la mia gioventù il destino mi portava spesso in luoghi dove gli eventi venivano investiti da fatti strani e, alcune volte, anche drammatici. Bruxelles e la curva Zeta furono la punta dell’iceberg, immagini impossibili da dimenticare. Poteva capitarmi nella vita privata, ma prevalentemente durante manifestazioni calcistiche, dove era chiaramente presente la mia Juventus.
Era divenuta quasi un’ossessione: ‘Cosa accadrà oggi?’, mi ripetevo durante le mie uscite calcistiche.
Ecco cosa scrisse Gianni Tiberi, giornalista della Nazione, nella sua bellissima prefazione al mio Coriandoli Bianconeri: “ Sembra quasi che lui, il ragazzo senese, abbia avuto un appuntamento preciso con gli eventi del mondo, inseguiti attraverso un mito mai incrinato: la Juve”. Fortunatamente il tempo ci mise una pezza, mettendo fine a questa continua serie di fatti bizzarri.
Capitò anche durante il campionato 76-77 quando il destino mi fece atterrare allo Stadio Bentegodi, per l’atteso match tra Verona e Juve.
Il campionato 76-77 è considerato da molti uno dei più belli di tutti i tempi, nel quale Juve e Toro si contesero lo scudetto sino all’ultima giornata. Lo vinse la Juve con il punteggio record di 51 punti su 60, contro i 50 del Torino. Una corsa al titolo bellissima, tra due squadre fortissime, toste, tecniche, che si superarono in classifica continuamente, durante tutte le trenta giornate del torneo.
Ma alla fine il punto in più l’ottenne la Vecchia Signora di Bettega e Boninsegna, che aveva battuto il Toro di Pulici e Graziani, una delle coppie di attaccanti più forti che il campionato italiano abbia mai messo in mostra. Facevano paura quei due, soprattutto ai difensori bianconeri, che ricorderanno per sempre i duelli sanguigni contro quei due corazzieri in maglia granata, ripetitivi nel lasciare quasi sempre il segno, con delle reti che sono rimaste nella storia del club torinista. Mi è capitato d’incontrare Ciccio Graziani durante qualche cena dal Direttore a Monticiano, ed una volta gli ricordai a memoria la formazione del Toro di quei tempi.
“Tu non sei gobbo, sei del Toro”, mi disse ridendo.
“No, sono juventino purosangue, ma ho sempre ammirato e stimato quel Toro, il tuo Toro”, gli risposi.
Effettivamente ho uno stupendo ricordo di quella formazione avversaria di quei tempi, quando respiravi il calcio con tutte le sue essenze, quei profumi che solo un quindicenne può inspirare profondamente, ed arrivavi a stimare anche la squadra che non portava i colori bianconeri.
Ma torniamo a quella partita del 20 marzo 1977, in piena era “anni di piombo”.
L’Italia di quel periodo era attraversata dal vento della violenza, quando giovani di fazioni contrapposte, nera e rossa, si divertivano ad ‘uccidersi’ per un ideale politico che niente ha portato, se non il ricordo disperato di quei poveri genitori che videro perire i giovani pargoli sul selciato delle strade di tutta Italia. Era la cosiddetta ‘Strategia della Tensione’, che arrivò ad essere sanguinaria, quel rosso vivo che sempre i nostri occhi di quindicenni dell’epoca non potevano accettare, né comprendere.
Quel 20 marzo ero seduto con mio padre e mio zio, veronese purosangue e tifoso dell’Hellas, proprio di fronte alla Tribuna Centrale, e proprio di fronte al materasso del salto in alto, utilizzato dagli sportivi dell’atletica leggera, che da lì a poco sarebbe diventato attore principale della serata.
Verona era considerata, dagli esperti, durante gli anni di piombo, come città di grandi incontri segreti delle due fazioni politiche avversarie, e come importante nodo di traffico di armi.
Tutto ciò si miscelava con la grande attesa per un match, quello tra Verona e Juve, molto sentito da squadre e tifosi, che portò al record d’incasso per il Bentegodi. La partita non fu assolutamente bella, molto combattuta a centrocampo, pochissime azione da goal, in un grigio pomeriggio veronese. Si concluse chiaramente 0-0, che permise al Toro, vincente per 2-1 sul Perugia, di superare di un punto la Juventus in classifica.
Ad un tratto, sotto di noi, vidi i raccattapalle agitarsi sulla pista di atletica leggera, in movimenti nervosi, quasi convulsi, ma, sinceramente, non ricordo se tutto ciò avvenne durante o prima della partita. Continuavo a fissare quei raccattapalle, non riuscendo a capire il loro comportamento. Poi, finalmente, la calma fece ritorno su quella pista di atletica, mentre il match arrivò alla sua nervosa conclusione.
Riuscimmo a scoprire l’incredibile verità solo in auto, mentre facevamo ritorno a casa, quando la mitica trasmissione “Tutto il calcio minuto per minuto” ci comunicò del ritrovamento di una bomba a mano, sotto il materasso del salto in alto.
Cosa era successo?
Era successo che dagli spalti era stata lanciata una bomba a mano, in dotazione all’Esercito, scagliata proprio sulla pista di atletica, con le due sicure, una che era stata tolta e l’altra che si rilevò difettosa. Quei giovani raccattapalle, con grande coraggio, al momento del ritrovamento dell’ordigno, la nascosero nella buca del salto in alto, sotto il materasso. Molto probabilmente se l’ordigno fosse scoppiato non avrebbe provocato vittime, ma creato terrore e panico tra i 50.000 presenti, con un fuggi- fuggi generale, seguito da probabili incidenti. La ‘strategia del terrore’ si era mostrata ancora , stavolta con una bomba a mano scagliata vicino ad un campo verde, teatro di gioco degli eroi bianconeri e scaligeri dell’epoca, che si erano esibiti a pochi metri da un ordigno che non esplose solo perché difettoso.
Tutto ciò fu argomento televisivo per giorni e giorni, con i commenti degli addetti ai lavori che si dividevano in due fazioni: chi criticava l’operato degli organizzatori, colpevoli di non aver fatto evacuare lo stadio, e chi invece li esaltava per aver tenuta segreta la notizia.
Io non ricordo i miei ragionamenti di allora, divisi tra la poesia del calcio ed i suoi colori, dove spiccava quel bianco e nero su un prato verde accecante, ed il terrore che mi abbracciò per intero al momento della notizia in auto, che mi fece ricordare quei movimenti nervosi di quei giovani e coraggiosi raccattapalle proprio sotto di me.
Sono passati tanti anni, ma vorrei conoscere quegli ormai cinquantenni raccattapalle di quella memorabile partita (non per la qualità del match, chiaramente), per congratularmi con loro per l’immenso coraggio di aver raccolto una bomba a mano, per nasconderla sotto il materasso del salto in alto. Atto da brividi, se ci concentriamo a fondo sulla cosa.
Questa storia è una delle tante pillole che il calcio può vantarsi di raccontare: storie belle, brutte, drammatiche, e strane. La storia della bomba di Verona la definirei singolare ed inquietante, ma solo perché quell’ordigno non esplose, per la fortuna dei 50.000 presenti.
Una storia vissuta con gli occhi di un quindicenne, quando la struggente poesia del calcio e della Juve ti catapultava in un mondo magico, esaltato dal momento del gol bianconero, che ti faceva perdere il contatto della realtà, con i tuoi muscoli, le tue corde vocali ed i tuoi sensi che si univano per degli ‘attimi fuggenti’ che non sono mai fuggiti dalla nostra memoria.